Cassazione: due pesi e due misure

Due pesi e due misure anche in Cassazione. Quando a commettere l’errore è stato il contribuente, il motivo di ricorso con il quale veniva censurato un vizio, individuandone erroneamente la tipologia, è stato ritenuto inammissibile dai giudici del Palazzaccio (sentenza n. 4595/2018). Quando, invece, nello stesso errore è incorsa l’Agenzia delle Entrate, che sbaglia nell’intitolazione del motivo di ricorso per Cassazione, ciò non osta alla riqualificazione della richiesta, se dall’articolazione del motivo di ricorso sia comunque chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (sentenza n. 4589/2018).

In parole povere

Se l’errore di qualificazione del motivo di ricorso lo commette il Fisco, il giudice lo può correggere e dichiarare comunque ammissibile il giudizio, procedendo nell’esame della causa; se invece è il contribuente che sbaglia nel qualificare esattamente il motivo del ricorso, quest’ultimo è da ritenere inammissibile e il giudice non può compiere alcuno sforzo per correggere un tale errore.

Difficile comprendere le ragioni che stanno alla base di due sentenze così diverse e opposte, seppure aventi a oggetto la stessa materia del contendere.

Proviamo a capire il motivo

Esaminiamo brevemente il contenuto delle sentenze e i motivi che hanno portato i giudici della quinta sezione tributaria della Cassazione a prendere due decisioni esattamente contrapposte l’una all’altra. Prima di entrare nel merito delle decisioni, è opportuno premettere che entrambe vertono su errori commessi dai ricorrenti nell’esatta qualificazione dei vizi delle sentenze di appello impugnate. In altre parole, oggetto del contendere sono le disposizioni contenute nell’art. 360 del codice di procedura civile.

La prima sentenza

Nella prima delle due sentenze citate (28.02.2018, n. 4595), i giudici della V sezione tributaria ritengono inammissibile il ricorso perché il contribuente ha censurato la sentenza di appello sulla base di violazioni o falsa applicazione di legge e come mancato esame di fatti, errori in procedendo e omissioni relative a fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo. Questi errori, si legge nella sentenza in commento, avrebbero dovuto essere fatti valere ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c. e non ai sensi del n. 3 della stessa disposizione del codice di procedura, invocato dal contribuente nel ricorso. Un tale errore di indicazione delle norme violate, conclude la sentenza n. 4595, non consente nemmeno la riconducibilità al vizio effettivo, sulla base di una precedente statuizione della stessa Corteespressamente richiamata (sentenza 8.03.2017, n. 5785).

L’altra sentenza

Nell’altra sentenza (n. 4589/2018), i giudici della V sezione tributaria, nonostante l’errata qualificazione commessa dall’Agenzia delle Entrate nell’individuazione dei vizi della sentenza impugnata, ritengono di concludere che, sulla base di quanto già affermato, l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per Cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie riconducibili all’art. 360, c. 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7.11.2017, n. 26310).

Conclusione

Di fronte a tali giudizi contrapposti, non resta che prendere atto che tutti sono eguali di fronte alla legge, ma evidentemente qualcuno lo è più degli altri.


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